Samui Song Regista: Pen-Ek Ratanaruang
Samui Song
Regista: Pen-Ek Ratanaruang
Cast: David Asavanond, Chermarn Boonyasak, Vithaya Pansringarm, Stephane Sednaoui
Anno: 2017
Provenienza: Thailandia
Autore Recensione: Roberto Matteucci
“Eccoci qua confinati nel parcheggio.”
Ko Samui è una splendida isola nel sud della Thailandia. Nel tempo si è trasformata, da una foresta a molte ore di viaggio in barca, in un paradiso per i turisti.
Se dovessi fuggire da tutto e da tutti sarebbe il posto ideale per nascondersi, per godere la frenesia di una vita da passare da casa alla spiaggia.
Lo stesso deve aver pensato il regista tailandese Pen-Ek Ratanaruang nel film Samui Song presentato alla 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: “Samui is like heaven for the main female character. It’s the only place where she can be free and happy.” (1)
In una strada fuori città accade un incidente, la camera effettua una carrellata verso il basso, tutto è in bianco e nero. Torna il colore e appare una ragazza ferita, sperduta in una foresta con un cane. Stacco nero; siamo in un ospedale.
La donna con una ecchimosi è abbordata da un uomo; è una persona con molti problemi, cerca di sopravvivere, di vivere alla giornata, con pochi soldi. Ha un dolore forte, si tratta della madre, soffre di Alzheimer, ma non si può permettere di comperargli le medicine necessarie: “deve pagare prima di avere la ricetta.”
L'inizio possiede le caratteristiche forti e decise di un thriller, una storia umana sociale. Trova una sua soluzione attraverso un giallo: "It’s my first full-length film since Headshot in 2011. It’s a thriller with some intense drama. There aren’t many action scenes, but it involves crime and murder, so it’s definitely exciting." (2)
Il regista tailandese si richiama a Hitchcock - “Using Hitchcock as a starting point, the film serves as an homage to the kinds of movies” (3) - per confermare la sua trama avvolgente, con personaggi dominanti i quali sanno catturare la scena con comportamenti al limite della spiegazione naturale.
E i due personaggi potrebbero essere perfetti per un film di Hitchcock .
Viyada è una affascinante attrice tailandese. È sposata con Jerome un artista francese, un milionario, un personaggio difficile nascosto da un atteggiamento cordiale. Il regista lo mostra come impotente e segaiolo.
Abitano in una bellissima casa fuori città.
La coppia rivela delle gravi fratture, delle oscurità, la colpa più grave è l'ossessione per una setta religiosa frequentata dall'uomo. Viyada in un primo momento partecipa alle riunioni ma poi se ne allontana con disgusto.
La coppia non funziona, ci sono scene violenti, e la donna ha un solo modo per liberarsi sia del marito, sia del crudele santone. Soltanto uno sconosciuto può aiutarla.
La storia è ricca di suspense, colpi di scena, con un work in progress in ogni fase della pellicola. Il film finisce. Però il regista potrebbe, senza nessun problema, riprendere e modificare ancora la linearità della narrazione.
Nonostante la ricercatezza nella crime story, Pen-Ek Ratanaruang, è in grado di raccontare una bella storia sociale. Un matrimonio fra due persone di culture differenti, le intromissione di nuovi culti religiosi perfino in una società conservatrice come la Thailandia. Una ambientazione fra la nascente e ricca borghesia tailandese; e quando una classe sociale cresce rapidamente le scorie prodotte sono tante e molto tossiche.
Per questo Viyada per raggiungere una soluzione deve difendersi da un altro grave problema della società tailandese (e di tanti altri paesi): la condizione della donna. Per il regista:
“I felt every Thai woman had to be, more or less, an actress to survive. Women in our society have to play many more roles than their male counterparts – as a daughter, a girlfriend, a wife, a mother, an employee. And I feel women have to play different roles (usually helpless and submissive) to get by in our male-dominant world.” (4)
Da questo pensiero nasce il moltiplicarsi dei ruoli e dei comportamenti difensivi/offensivi della donna, la quale, come una attrice, deve svolgere tanti ruoli. Il paradiso esiste: è a Samui ma anche li arrivano i dannosi frutti del suo passato.
Il montaggio è pesante, ci sono tanti stacchi temporali e fisici, una ripetizione delle scene frutto di diverse soggettive. La musica è forte come nell'episodio dell'assassinio, una musica extradiegetica per determinare e caratterizzare il senso della scena.
Il regista non si risparmia. Soprattutto è cinico nei confronti del marito francese. Impotente, cerca di masturbarsi guardando un film porno alla tv. Ma non ci riesce, il pene – come accusato dalla moglie - è minuscolo e sempre floscio. Questa miserabile scena termina con una autopunizione, si colpisce in faccia e nei testicoli per la vergognosa incapacità sessuale. Il contrappasso arriverà con la sua condanna, ironicamente da un grande e rigido fallo.
Il regista si confessa: “A lot of people say that my movies are weird and not that easy to understand”. (5) La trama mantiene tanti livelli, i quali possono essere di difficile percezioni, ma è solo uno stile, è una filosofia.
Abbiamo alcuni momenti ermetici: la malata madre si ritrova sveglia e attiva alla guida di una auto. Perché la donna malata è un altro tipo di femminilità, quella più debole, un emarginato della società impossibile da curare per mancanza di soldi. Come dice il figlio c'è un vantaggio nell'essere malata di Alzheimer “almeno si dimentica di tutte le altre malattie”.
La speranza arriva. Viene da Samui, forse le donne possono cavarsela da solo senza avere bisogno di nessuno, basta eliminare i residui tossici di tanti uomini violenti.
(1) https://www.bangkokpost.com/learning/learning-entertainment/1401754/south-of-heaven
(2) https://www.bangkokpost.com/learning/learning-entertainment/1401754/south-of-heaven
(5) https://www.bangkokpost.com/learning/learning-entertainment/1401754/south-of-heaven